Nichiren Daishonin spiega il significato dei caratteri cinesi usati per la parola beneficio (in giapponese kudoku): ku sta per “estinguere il male”, doku per “far emergere il bene”.
Ma cosa significa tutto ciò? E poi, non abbiamo forse detto che per il Buddismo “bene” e “male” sono due concetti non opposti ma complementari? Cerchiamo di capire meglio.
Il beneficio “incospicuo”
I benefici nel Buddismo, possono essere “visibili” e “invisibili”, cioè “cospicui” e “incospicui”: se dei primi è facile capirne la natura, i secondi necessitano di un approfondimento. Tutti noi abbiamo iniziato a praticare con delle aspettative. Smettere di soffrire per qualcosa, realizzare un sogno, o anche semplicemente sentirsi “spiritualmente” appagati. In assenza di esperienza di pratica, le nostre aspettative nascevano dall’aver sentito raccontare di benefici ottenuti da qualcuno di cui ci fidavamo. Per chi inizia, spesso la risposta più gradita alle proprie “preghiere” è rappresentata dai benefici visibili e materiali, e senza di essi probabilmente un principiante non continuerebbe con lo stesso entusiasmo. Ma, a distanza di anni, è necessario interrogarsi sinceramente sulle nostre aspettative e sulla qualità dei risultati che abbiamo ottenuto: qual è il reale beneficio della pratica buddista?
Nel Gosho L’insegnamento, la pratica e la prova leggiamo che «le persone nate oggi, nell’Ultimo giorno della Legge, ricevono il seme della Buddità per la prima volta, e il loro beneficio è quindi incospicuo» (Gli scritti di Nichiren Daishonin, v. 6, p. 201). Come è spiegato in un brano successivo, “incospicuo” significa che «le persone non possono né percepirli né comprenderli». Il motivo di questa affermazione è che il beneficio fondamentale della pratica buddista è l’Illuminazione, il risveglio della natura di Budda che risiede profondamente in noi stessi senza che ne siamo consapevoli. «La saggezza di tutti i Budda è difficile da credere e difficile da comprendere» afferma il capitolo Hoben del Sutra del Loto. Alla luce di questi brani si scopre che lo scopo fondamentale del Buddismo non ha a che fare con l’ottenimento di benefici “visibili”, ma riguarda la progressiva presa di coscienza, da parte delle persone comuni, del fondamentale beneficio invisibile che è l’emergere della natura di Budda.
La trasformazione dell’ichinen
Il Buddismo descrive la Legge fondamentale della vita come il principio mistico di causa ed effetto. Nel Buddismo del Daishonin il manifestarsi della natura di Budda è un effetto della recitazione di Nam-myoho-renge-kyo al Gohonzon, ma a sua volta è anche la potenziale causa di progressive e radicali trasformazioni della vita individuale, le quali originano dal profondo cambiamento a livello dell’ichinen. L’ichinen è il modo in cui viviamo il singolo attimo presente. Per fare un esempio, è esperienza abbastanza comune per un praticante che una sofferenza che sembra insopportabile si sciolga naturalmente durante la preghiera e si trasformi, nella nostra percezione, in un problema normale e risolvibile. Nulla è cambiato durante la preghiera, se non l’ichinen, cioè il modo di “sentire”.
È incredibile quanto questa trasformazione, apparentemente così insignificante, possa provocare una vera e propria rivoluzione della vita dell’individuo e del suo ambiente, la “rivoluzione umana”. Tutto origina dall’ichinen, il quale, secondo la teoria buddista di ichinen sanzen, contiene in sé tutte le potenziali manifestazioni fenomeniche dell’universo, abbracciando, oltre all’individuo, anche l’ambito sociale e l’ambiente fisico.
Anche il principio buddista di interdipendenza, spiegando come tutti i fenomeni siano in relazione tra di loro e si influenzino a vicenda come se fossero nodi di una fitta rete, afferma che non esiste discontinuità tra l’ichinen individuale e l’intero universo.
La libertà dal karma
Secondo la teoria del karma, qualsiasi caratteristica della vita individuale – la nascita, le caratteristiche fisiche e psicologiche, la famiglia, il luogo e le condizioni di nascita, l’ambiente sociale e naturale, gli eventi che formano la storia personale, le gioie e i problemi, gli incontri, le malattie e la morte – non sono frutto del caso, ma sono determinati da cause poste in precedenza.
Dal punto di vista dello scorrere del tempo, la vita può dunque essere vista come un eterno flusso, determinato dalla legge del karma, in cui le cause poste producono effetti i quali, a loro volta, determinano nuove cause. Da questo punto di vista sembra assai difficile modificare anche di poco il flusso karmico, tanto è vero che sia il Buddismo che le altre religioni dell’India vengono spesso accusate di fatalismo.
Ma esiste un tempo e un luogo in cui è possibile modificare il flusso inesorabile delle azioni e delle reazioni: il qui e ora. Il singolo istante presente, o ichinen, racchiude in sé l’eternità, essendo in esso rappresentato l’intero passato sotto forma di effetti e il futuro sotto forma di cause.
Il beneficio “incospicuo” della recitazione di Nam-myoho-renge-kyo, che abbiamo descritto come trasformazione dell’ichinen, si manifesta quindi come libertà, per un istante, di spezzare le catene karmiche che naturalmente ci spingerebbero ad essere e ad agire come schiavi del passato senza inizio. Brani del Gosho come «il Budda afferma che dobbiamo diventare padroni della nostra mente e non lasciare che la mente sia la nostra padrona» (Lettera a Gijo Bo, Gli scritti di Nichiren Daishonin, v. 5, p. 3) o «Shakyamuni insegnò che è facile abbracciare il superficiale, ma abbracciare il profondo è difficile. Scartare il superficiale e ricercare il profondo richiede coraggio» (Ripagare i debiti di gratitudine, Gli scritti di Nichiren Daishonin, v. 2, p. 115) esprimono la possibilità, il modo, ma anche la difficoltà di tradurre in azione questo breve istante di libertà senza limiti.
La purificazione dei sei sensi
Utilizzare bene “un istante” di libertà non è facile, in quanto il karma si manifesta a livello dei cinque sensi e della mente sotto forma di preconcetti e illusioni, le quali costituiscono un grande ostacolo. È a causa delle illusioni che la nostra percezione della realtà è incompleta, le idee che ci facciamo riguardo ai fenomeni relativi alla nostra vita sono spesso erronee e di conseguenza il nostro agire, invece di portarci a essere felici, spesso produce il risultato opposto.
Ritenere che le cause della sofferenza siano fuori di noi, credere di poter essere felici indipendentemente dagli altri, attendersi degli effetti senza aver posto le cause, pensare che la sofferenza o la gioia durino per sempre, essere convinti che possiamo essere felici solo in un altro luogo o in un altro tempo, sono solo alcuni esempi assai comuni di convinzioni sbagliate che ci impediscono di creare un’esistenza felice. Per questo, nell’Ongi kuden Nichiren descrive il beneficio della pratica buddista come la “purificazione dei sei sensi”: la vista, l’udito, il tatto, il gusto, l’olfatto e la mente.
Attraverso questa purificazione, che è un altro effetto della trasformazione dell’ichinen, possiamo migliorare la nostra capacità di percepire e comprendere la realtà della vita e del nostro ambiente, smaschereremo gli alibi e le scuse che ci siamo creati e in tal modo conosceremo sempre meglio noi stessi, le nostre debolezze e i nostri punti di forza, così come quelli degli altri.
Nel capitolo Juryo del Sutra del Loto Shakyamuni esprime il potere della purificazione dei sei sensi quando afferma che «la mia terra pura non viene distrutta, eppure la moltitudine la vede come se fosse consumata dal fuoco: ansia, paura e altre sofferenze predominano in essa». La nostra vita, che ci appare a volte come sofferenza insopportabile, è in realta la stessa vita del Budda, la pura terra in cui le persone vivono “felici e a loro agio”.
La trasformazione della sofferenza
Cosa vuol dire trasformare la sofferenza?
Shakyamuni volle superare le sofferenze della vita eppure, come tutti gli esseri viventi, invecchiò, si ammalò più volte e alla fine non potè sfuggire alla morte. Ai nostri occhi, apparentemente, persino il Budda non riuscì a sottrarsi alle sofferenze. Eppure tutti i sutra affermano che egli ottenne la liberazione da esse e impiegò il resto della sua vita a insegnare ai suoi discepoli come fare lo stesso. Evidentemente il tipo di “beneficio” sperimentato dal Budda non fu quello di non soffrire più: se avessimo una simile aspettativa per noi stessi dobbiamo comprendere che non otterremo alcuna risposta.
In un brano del Gosho Le quattordici offese si legge: «Per la legge dell’impermanenza della vita, tutto ciò che nasce è destinato a morire. (…) Nessuno può sfuggire a questa impermanenza: alla fine tutti faremo il viaggio alle sorgenti gialle» (Gli scritti di Nichiren Daishonin, v. 5, p. 171). Eppure, nonostante l’impermanenza sia una verità evidente per chiunque, le illusioni che originano dalla nostra mente ci impediscono spesso di accettarne la realtà. Così come non accettiamo facilmente che i momenti di gioia siano destinati a finire, mentre soffriamo ci è difficile percepire che anche la sofferenza è impermanente, cioè che non dura per sempre e che è possibile superarla, e cadiamo preda della disperazione.
Ma per chi pratica, la sofferenza è uno stimolo a pregare il Gohonzon, e l’effetto di tale azione è la trasformazione del mondo di Inferno nel mondo di Budda, un evento che ribalta completamente il nostro modo di percepire la situazione e quindi di agire per cambiarla. Anche dopo aver abbracciato la fede abbiamo delle sofferenze, dei problemi che sembrano senza via d’uscita. Ma ora qualunque cosa ci accada rappresenta un’opportunità per dare una prova della nostra fede.
La trasformazione della sofferenza è un beneficio “cospicuo” o visibile che deriva da un cambiamento profondo a livello dell’ichinen. Nel Gosho I tre tipi di tesori è spiegata questa relazione tra cambiamento interiore e manifestazione di tale cambiamento all’esterno: «Un importante principio buddista dice che “la fragranza interna otterrà protezione esterna”[…] ».
Il potere della fede
I benefici visibili rappresentano, soprattutto all’inizio della pratica, un elemento fondamentale per costruire una salda fede nel Gohonzon.
Avere fede nel Gohonzon vuol dire credere nel potenziale infinito insito nella nostra vita, nella possibilità di trasformare qualsiasi problema in un’esperienza e qualsiasi sofferenza in gioia. Una fede che nasce e si rafforza attraverso l’esperienza ci rende pian piano sempre più liberi dalla paura di dover affrontare nuove difficoltà, estendendo i nostri limiti via via più lontano.
Quando recitiamo è necessaria una fede completamente libera dal dubbio. In tal modo l’ichinen non si disperde e non si distrae, ma è completamente concentrato nella straordinaria impresa di trasformare l’impossibile in possibile. Nessuno può evitare i problemi, ma il consolidamento della fede consiste proprio nello stabilire un ichinen sempre meno soggetto alle tempeste della vita. Il presidente Ikeda paragona l’alto stato vitale che scaturisce dalla fede alla profondità dell’oceano, che non viene turbata dalle tempeste che avvengono in superficie.
Solo con la fede si può accedere alla Buddità, il beneficio “incospicuo” che gli esseri umani non sono in grado di percepire né comprendere con le loro capacità. Per questo “coltivare” la propria fede è la cosa più importante, è la causa fondamentale per l’ottenimento di ogni genere di benefici.
(da: Buddismo e società n.98, maggio 2003)

